Una piccola, tendenziosa, storia tipografica

<prefazio>Tanto tempo fa, nel 2004, avevo iniziato un discorso a Webbit, dall’ambizioso titolo “Dal markup del medioevo al markup di oggi“[1. Ovviamente, sbagliando del tutto i tempi. A un certo punto, poco più in là dell’introduzione, vedevo la gente che si alzava. Un po’ scocciato, ho chiesto “Ma dove andate?”. Giustamente, mi è stato fatto notare che avevo già sforato di un quarto d’ora, e che fuori dalla porta c’era Bussolon che aspettava.]. È arrivato il momento di rispolverarlo e aggiornarlo. Mi scuso della lunghezza, l’argomento è complesso e si svilupperà su più post. Però, mi intriga vedere come molte cose dei manoscritti medioevali possano spiegare molte discussioni del Web moderno.</prefazio>

Per riuscire a comprendere alcuni punti fondamentali dell’accessibilità , è importante comprendere gli schemi mentali e le strutture culturali che ci portiamo appresso inconsciamente (come tante altre cose) riguardo tutti gli oggetti a stampa. Così come il nostro PC, anche il cervello possiede dei valori di default, che automaticamente carichiamo di fronte a determinati oggetti. Fra questi, qui parleremo dei libri, cercando di sfatare anche un’altra leggenda metropolitana: il cosidetto “Pregiudizio della stampa“.

La struttura delle pubblicazioni a stampa moderne segue determinate convenzioni che ne semplificano le possibilità di consultazione. Infatti, anche quando non lo si legga per intero, ci si aspetta di ricevere notizie su un determinato libro attraverso l’esame di alcuni elementi formali presenti in quasi tutti i libri come il titolo, il nome dell’autore, l’indice, la premessa (introduzione, prefazione), le note e così via.

Oltre a ciò, questi elementi formali sono sempre posizionati in un ordine universalmente accettato. Per esempio, il nome dell’autore, il titolo del libro ed il nome della casa editrice si trovano solitamente sulla copertina e/o nella prima pagina del volume stesso; l’introduzione dell’autore per i lettori è sempre posta prima dell’inizio del corpo del testo vero e proprio; il sommario si trova all’inizio del libro, e l’indice analitico in fondo. Le annotazioni bibliografiche ed i commenti sono posizionate vuoi a piè di pagina, vuoi al termine del testo.

All’interno del testo, complesse e sofisticate regole grafiche (se vi interessa l’argomento, da leggere assolutamente “Gli elementi dello stile tipografico“, di Robert Bringhurst) ci indicano come dedurre la struttura logica del contenuto (l’abbiamo già visto, per esempio nella serie di post dedicati agli “headings“).

La nostra storia inizia nel Medioevo, con alcune interessanti differenze dal libro come lo conosciamo noi e qualche spunto invece per quel che riguarda il Web. Vediamo perché [2. I testi di seguito riportati fanno riferimento a diverse fonti. La fonte fondamentale per me è il Dipartimento di Studi Medioevali di Budapest”, e gli interessantissimi studi presentati.]

I codici manoscritti medievali seguivano delle regole simili a quelle che conosciamo anche se non proprio le medesime: anche in quest’epoca, infatti, ogni libro iniziava con il titolo e con il nome dell’autore, quando fosse conosciuto.

A volte, la prima pagina di un manoscritto riportava una subscriptio, ovvero una iscrizione indicante il luogo e/o la data di pubblicazione del libro e/o il nome dello scrivano o del committente.
Subscriptio e colofone, un enunciato del medesimo contenuto del precedente solo posto alla fine del libro, quasi a fare da specchio alla subscriptio, sono elementi facoltativi che appaiono nei libri medievali solo sporadicamente.

Per l’editoria rinascimentale i colofoni sono maggiormente frequenti delle subscriptio e, per i primi libri a stampa, i colofoni rappresentavano il simbolo o marchio della casa editrice.

Entrambi questi elementi possono essere utilizzati per definire l’origine di un determinato manoscritto. Incipit, ovvero inizia, è la formula che indica l’attacco del testo [3. L’incipit è, come dice Traversetti , “l’esplosione semantica che genera e avvia il cosmo romanzesco e ci consente di individuarne i caratteri, di intuire panorami e sviluppi futuri” e questo “avviene non appena leggiamo le prime dieci o venti righe”. Nel leggere infatti la prima pagina noi non veniamo a conoscenza, ovviamente, di tutto il romanzo, ma ci creiamo dei percorsi mentali lungo i quali orienteremo la nostra lettura. (Wikipedia)].

Un po’ come si dovrebbe fare nelle pagine Web secondo il famosto modello della “piramide rovesciata” e infilando qui e là un po’ di segnaletica con i “paratesti“.

Nei codici nei quali sono riportati diversi testi (i quattro Vangeli, o un’antologia di sermoni) solitamente si trovano altrettanti incipit di quanto sono i testi.

L’incipit viene a volte confuso con il titolo o con la subscriptio per il semplice motivo che tutti cominciano con la parola incipit. Per la stessa ragione explicit, letteralmente spiegato, una formula che indica la fine del testo o di una sezione di esso, è spesso confusa con il colofone. I manoscritti che venivano acquisiti per le biblioteche, monastiche o secolari che fossero, erano sovente marcati con un bollo che ne segnalava l’appartenenza ad una particolare collezione o persona. Questi sigilli, detti ex libris, sono solitamente posti all’inizio del manoscritto e rappresentano una fonte di inestimabile valore per individuare la provenienza dei manoscritti stessi. i libri venivano letti senza soluzione di continuità dall’inizio alla fine.

L’indice o lo schema analitico del contenuto di un volume, fece la sua comparsa come conseguenza di una nuova inclinazione verso la lettura. Prima che intervenisse tale cambiamento, i libri venivano letti senza soluzione di continuità dall’inizio alla fine. Questo era il modo di leggere meditativo tipico dell’ambiente monastico, che non aveva alcuna necessità di dover rapidamente riconoscere e trovare una sezione particolare di un determinato libro. Con il XII secolo e la nascita del pensiero e del metodo di studio della Scolastica, la disposizione verso la lettura conobbe un profondo mutamento: studenti, professori e predicatori, infatti, intendevano il libro più come uno strumento dal quale attingere informazioni e citazioni che come semplice oggetto di lettura.

Questi nuovi lettori volevano e dovevano essere in grado di effettuare una rapida ricerca per argomenti in qualsiasi testo, tralasciando le parti che non erano di loro interesse. L’esistenza di un indice preliminare al testo divenne, quindi, un elemento fondamentale per ogni codice a partire dal XII secolo in poi.
All’inizio gli indici erano delle semplici liste di titoli di capitoli (elemento? <ol>, senza dubbio), ma in seguito diventarono schemi ragionati degli argomenti contenuti nel libro (mappa del sito?). ricerca per argomenti in qualsiasi testoQuesto è il caso dei Decreti di Graziano, un complesso testo di giurisprudenza, che includeva non solo l’elenco del numero e del titolo dei capitoli ma anche una tavola sinottica con i compendi degli argomenti discussi in ogni capitolo e paragrafo.

La numerazione delle pagine è una pratica che si sviluppò solo gradualmente nell’ambito dei manoscritti medievali.

All’inizio i soli Quaderni erano segnalati attraverso l’uso di parole chiave (tag ?) o contrassegni. Il contrassegno era solitamente la prima parola della prima linea del Quaderno seguente e veniva scritto sul margine, nell’angolo basso a destra dell’ultimo foglio verso del Quaderno precedente. Più tardi venne introdotta la norma di indicare la sequenza dei Quaderni con numeri o lettere. parole chiave o contrassegniL’insieme di questi segni era annotato dallo stesso copista autore del testo in modo che il rilegatore fosse in grado di rilegare i diversi Quaderni correttamente fra loro.

Due fattori portarono alla definitiva accettazione del metodi della numerazione dei fogli: lo sviluppo degli scrittoria e il cambiamento della funzione del libro. Sistemazione del testoI libri medievali erano scritti a mano, e per facilitarne la lettura vennero elaborate speciali tecniche. Nell’Alto Medioevo, l’intero testo, a parte l’incipit e le iniziali, veniva redatto in uno stesso stile. In seguito, vi furono notevoli sviluppi. Per meglio visualizzare la separazione fra testo e commento visualizzare la separazione fra testo e commento (o un insieme di commenti), sulla stessa pagina venivano utilizzate differenti tipi di grafie, stampatello così come diversi corsivi.
Il titolo di un libro e gli incipit delle varie parti di un libro erano di regola scritte con un particolare stile decorativo che poteva perfino renderne difficoltosa la lettura. Lettere più grandi, in rosso o raramente in blu, erano usate per indicare l’inizio di una sezione. Queste sono dette iniziali (o capolettera).

A partire dal XII secolo, alcune lettere, le cosiddette litterae notabiliores, più grandi del resto del testo ma più piccole rispetto alle iniziali, erano utilizzate per denotare le divisioni minori del testo. Per facilitarsi il compito e rendere più veloce la riproduzione di un manoscritto, gli scrivani medievali usarono numerose abbreviazioni. O acronimi?
Queste venivano principalmente usate nei testi Latini e i Greci anche se i manoscritti volgari tardo medievali mostrano numerose abbreviazioni. Vi sono tre categorie principali di abbreviazioni: le sospensioni, nelle quali viene accorciata la fine di una parola; contrazioni, nelle quali un’altra porzione della parola stessa risulta abbreviata; i simboli della abbreviazioni che prendono il posto di intere parole. Quest’ultimi spesso sono stati tramandati dall’Antichità (figurati… e noi pretendiamo di risolvere con e ), come per esempio la cosiddetta annotazione tironiana & per ‘et.’ Ovunque, le abbreviazioni erano usate per denotare nomi santi come nel caso di Xpc per Cristo.

Divisione del Testo

flusso ininterrotto di parole Il testo dei libri medievali fino al primo millennio della nostra era, erano più o meno un flusso ininterrotto di parole senza alcuna delle interruzioni alle quali è abituato il lettore moderno. Le parole, infatti, non erano sempre separate le une dalle altre, non vi era divisione in paragrafi o capitoli, e le note non erano distinguibili dal discorso dell’autore. Inoltre, speciali grafie altamente decorative aggiungevano altri problemi alla leggibilità del libro . In conclusione, tali libri non erano prodotti per speciali grafie altamente decorative aggiungevano altri problemi alla leggibilità del libroessere letti rapidamente ed anzi, alle volte, non era proprio previsto che venissero letti: erano, invece, spesso regali prestigiosi o manufatti artistici per i quali l’aspetto estetico era maggiormente importante del contenuto.

Per questo motivo, probabilmente anche a partire dallo stesso Alto Medioevo, i libri intesi per lo studio più che per il piacere estetico, erano organizzati in altro modo. Per esempio, la Bibbia di studio era praticamente priva di decorazioni, veniva scritta in stampatello leggibile ed il testo era suddiviso in capitoli e versi (senza CSS, in pratica).
Nel XII secolo apparve una nuova generazione di lettori, con nuove esigenze rispetto all’organizzazione del testo. Ciò ebbe una notevole influenza sul modo generale di organizzare il testo, incluso la sua suddivisione in diverse parte e sezioni . A questo punto, le parole sono una separata dall’altra. Lo stesso testo era diviso in capitoli e sottocapitoli, con le intestazioni contenenti numeri o parole o entrambi. suddivisione in diverse parte e sezioniLa pratica di numerare i capitoli, anche se nota fin dall’Antichità , divenne la norma solo dal XII secolo.

Questa numerazione veniva posizionata sul margine, accanto al testo. Nei manoscritti più antichi, che ne erano privi, venne inserita successivamente dai lettori In seguito, i titoli dei capitoli combinavano insieme il numero ed il contenuto del capitolo. Nella maggior parte dei casi i titoli dei capitoli no erano opera dell’autore del testo. In effetti, nei manoscritti più antichi vennero inseriti successivamente dai lettori del XII secolo.

Più tardi, gli scribi copiarono gli stessi testi con i titoli, inserendoli nelle corrette posizioni nel corpo del testo e, soprattutto, costruirono indici analitici grazie ai quali, combinandosi titoli dei capitoli e numeri di pagine, si ottenne un pratico sistema di riferimento e consultazione. L’uso di lasciare spazio ai margini del testo prese piede a partire dal secolo XII per marcare interruzioni del testo stesso e per le note.
Il margine superiore era lasciato per i titoli correnti o testatine che rispecchiavano i titoli dei capitoli. I titoli correnti o testatine risultavano molto utili per scorrere velocemente il testo. La spaziatura su entrambi i margini con relative annotazioni era assai pratica nei testi teologici e legali per i quali il lettore necessitava una guida per sviscerare tali complesse materie.
Nel corpo stesso del testo i diversi stadi della trattazione erano distinti attraverso litterae notabiliores.

Inoltre, alcune parti dell’argomentazione erano indicate e contrassegnate da speciali sigle
quali quaestio, prima causa, secunda, objectio, responsio, distinctio ecc.
Bè, questi sono proprio dei tag, e questo è markup.

<quaestio>E' nato prima l'uovo o la gallina?</quaestio>

<responsio>bò</responsio>

I margini venivano anche usati per indicare riferimenti bibliografici, anche incrociati, e note. Tali riferimenti erano anche utili per poter rapidamente ritrovare una particolare sezione di un testo ritrovare una particolare sezione di un testo per mezzo di un indice posto in volume separato, come nel caso delle concordanze bibliche. Le concordanze collegavano diverse parti dello stesso manoscritto. Le note prima del tredicesimo secolo, e spesso anche successivamente, erano inserite proprio all’interno dello stesso corpo principale del testo invece di essere poste sui margini. Nel corso del tempo, fu elaborato un sistema di segni per indicare le note. Il testo delle note sarebbe stato di solito indicato attraverso punti o virgole sui margini e, ogni tanto, l’intero testo poteva essere compreso da una linea. La fonte di una nota (l’abbreviazione del nome dell’autore) sarebbe stata posta accanto alla medesima, sullo stesso margine.

Disposizione del testo

Prima del XII secolo un qualsiasi testo era normalmente scritto su una o due colonne della stessa grandezza, implicando perciò l’uguaglianza dei contenuti in entrambe le colonne. Nel caso in cui uno scrivano o un lettore successivo avesse sentito la necessita di aggiungere qualcosa o di discutere il testo, o di commentarlo in qualche maniera, questa addizione (detta glossa ) sarebbe stata inserita fra le righe o posta sui margini senza seguire alcun ordine particolare.glossa, aggiungere qualcosa o discutere il testo

wiki

A partire dal XII secolo tre campi del sapere medievale, ovvero teologia, giurisprudenza e studi biblici, contribuirono a creare una nuova tendenza verso la disposizione spaziale del testo sulla pagina.

La ragione per una tale innovazione stava nella necessità di riuscire a presentare l’importanza del testo originale pur circondato dall’insieme dei commenti tradizionali.
I migliori esempi di tale ricerca sono la Glossa Ordinaria (Bibbia commentata), le Sentenze di Pietro Lombardo (esposizione concisa delle dottrine della patristica), e i Decreti di Graziano (commenti alla legge canonica).
Queste composizioni tentano di presentare il testo originale ed il corpus dei commenti tutto su una medesima pagina, in modo da rendere più accessibile la comprensione di una fonte tanto importante.

Vi erano diversi modi di disporre il testo su una pagina, pur essendo la maggiore caratteristica comune a tutti questi diversi metodi il concentrarsi più sul commento che sul testo originale. Nel caso delle Bibbie glossate, il testo principale veniva scritto nella piccola colonna centrale ma con una grafia grande, chiara e ben spaziata. Le glosse, scritte in una grafia ben più piccola, qualche volta in corsivo, scorrevano parallelamente ai lati del testo principale, e due righe di glossa corrispondevano ad una del testo principale. Effettivamente, il testo delle glosse diveniva un vero e proprio scritto e se stante che trovava spazio, quindi, in colonne a destra e sinistra del testo principale, per le quali una posizione precisa doveva essere assegnata precedentemente, già nel corso del Rigare/Tracciare le linee (avete presente le griglie CSS?).
parole chiave o lemmata
L’inizio di ogni singola glossa era largamente collegato con il corrispondente luogo nel testo principale. Le parole chiave , o lemmata, venivano distinte nei commenti attraverso la sottolineatura (non è clamoroso? proprio come i nostri link).

Il testo del commento seguì uno sviluppo simile a quello del testo principale: le diverse parti erano indicate mediante lettere più grandi, segni ai margini, e la divisione del testo in piccole differenti porzioni divisione del testo in piccole differenti porzioni. Le note, in principio inserite nelle glosse stesse, vennero poi segnate da punti sui margini ed il nome abbreviato dell’autore consentiva l’identificazione della fonte. In seguito, lo scritto del commentatore fu distinto da quello della sua fonte attraverso una divisione in paragrafi. Con una apposita classe, verrebbe da dire.

La prima università europea 1119: prima università europea fu fondata a Bologna nel 1119, quindi Siena nel 1203 e Vincenza nel 1204. Alla fine del 13 secolo, le università avevano trovato sede in Parigi, Bologna, Padova, Ghent, Oxford eCambridge.

Questi nuovi centri di studio crearono una nuova domanda di libri. Gli studenti non potevano avere accesso ai libri segregati nei monasteri e comunque avevano bisogno di libri non ancora disponibili, per esempio testi non religiosi. Quindi le università crearono una richiesta di libri e un sistema di utilizzo diverso dal precedente, quasi esclusivamente religioso. cartolai e copistiPer rispondere a queste richieste delle università si crearono due nuove categorie: cartolai e copiatori di libri, i copisti. Queste persone creavano i libri di testo che, dopo un attento studio e comparazione con altri libri per verificarne l’accuratezza, gli studenti avrebbero copiato. Quando uno studente aveva bisogno di un libro, si recava alla cartoleria e lo copiava, a mano, oppure pagava il copista per realizzarne una copia.

Non c’era il copia/incolla, ovviamente, e in fin dei conti molti contenuti delle pagine Web attuali vengono ancora generati da copisti, più o meno avveduti.

Questo metodo presentava però due tipi di problemi. Il primo deriva direttamente dai possibili errori introdotti dalla copia; il secondo, per quanto accurata potesse essere la copia in possesso della cartoleria, non c’era modo di verificare quanto accurata fosse la copia eseguita dal copista (avete presente Wikipedia?).

La combinazione di questi due fattori poteva produrre una grande entità di errori nei libri di testo. Gli errori potevano prodursi per stress del copista (o dello studente che eseguiva la copia), noia o semplicemente perché non rilevati.

Inoltre, reperire un libro era davvero difficile. Il libro richiesto da una particolare classe universitaria era reso disponibile dall’università , ma poter svolgere ricerche per proprio conto poteva essere impossibile.

Gutenberg e gli inchiostri a base oleosa

Nel 1452 Gutenberg concepì l’idea dei caratteri mobili Nel 1452 Gutenberg concepì l’idea dei caratteri mobili. La macchina da stampa non è una singola invenzione, bensì l’aggregazione delle tecnologie ‘tipografiche’ del secolo precedente: la stampa a caratteri mobili è conosciuta in Europa sin dal ritorno di Marco Polo dall’Asia, nel secolo tredicesimo.

Anche la carta arriva dalla Cina (dodicesimo secolo) ma era ancora un supporto troppo fragile per i libri, soprattutto in confronto alla pergamena di origine animale, estremamente resistente, anche perché per fare un libro ci volevano anche più anni. Però, la pergamena costava moltissimo.

L’invenzione dell’inchiostro risale al decimo secolo, ma non era adatto alla pergamena con cui venivano realizzati i libri e i monaci utilizzavano un impasto a base d’uovo.

Il contributo di Gutenberg al mondo della stampa è lo sviluppo di un sistema di stampa a pressione che permise la produzione di massa dei caratteri mobili usati per riprodurre una pagina di testo. Le lettere venivano composte su una barra metallica e se una si rompeva, poteva essere cambiata. Quando la stampa delle copie di una pagina era terminata, i caratteri mobili potevano essere riusati per il prossimo libro.

Lutero e la riforma protestante

primo movimento rivoluzionario di massa

Relativamente alla stampa, l’innovazione reale nella cultura arriva all’inizio del sedicesimo secolo, con la riforma protestante. Nel 1536, John Calvin pubblica il suo lavoro a Strasburgo, quindi si sposta a Ginevra, in Svizzera. La riforma è il primo movimento rivoluzionario di massa, e in parte è dovuto alla propaganda stampata.

Sono io bacato o anche qui ci sono analogie con certi problemi del Web, con l’ansia di controllo che sembra ogni tanto prendere i nostri politici e/o centri di potere? Bè, un precedente c’è, ed è questo.

Le persone che in quel periodo sapevano leggere erano davvero poche, quindi la propaganda prende forma di immagine. Oggi forse sarebbero banner in Flash. L’obiettivo proncipale era il papa, disegnato come ‘Whore of Babylon.’

Questo avvenimento produce la produzione di nuovi libri di stampo scientifico, matematico e militare.

Nel secolo tredicesimo, le scienze avavano avuto un grande sviluppo col ritorno dei crociati dalle loro avventure di conquista. Essi avevano riportato copie dei testi di greci e romani, persi per il pubblico europeo dopo la caduta di Roma. Fra questi testi, i migliori erano quelli di scienze prodotti dai greci, che vennero riprodotti a stampa. Il risultato finale di queste stampe e gli effetti sulla vita europea hanno più in comune con l’economia che con la cultura: mappe e informazioni geografiche che verranno utilizzate per l’espansione europea nel mondo.
Il resto, lo sappiamo.

e oggi?

Si diceva nel 2000 (fonti e appofondimenti):

In questo contesto, allora, come potrebbe incidere il passaggio dall’universo stampato a quello elettronico, prodotto dal word processing, computer conferencing e ipertesto, sul nostro senso di proprietà del sapere? Una delle più importanti caratteristiche della tipografia, se crediamo a McLuhan e ai suoi seguaci, è quella metaforica. Qui non stiamo parlando dell’uso investigativo della metafora, come chiave di lettura del futuro alla luce del passato, che Heim è così riluttante ad accettare. Stiamo parlando del trasferimento metaforico di caratteristiche del medium di comunicazione di una cultura ad altri aspetti della stessa cultura .
McLuhan suggerisce, per esempio, che la riproduzione di testi mediante serie ordinate di unità tipologiche esattamente ripetibili e individualmente insignificanti, presenta sorprendenti e strette analogie e forse fornisce il modello della società industriale avanzata, in cui un’intera economia è costituita da piccoli pezzi di proprietà individuale, inclusa quella intellettuale.

Questo tipo di speculazioni può spingersi al livello di asserzioni indimostrabili per le quali McLuhan è stato giustamente criticato. Tuttavia, se noi accettiamo provvisoriamente che il medium può talvolta essere la metafora, possiamo forse imparare qualcosa circa gli effetti della seconda trasformazione osservando le vie metaforiche in cui essa ci consente di concettualizzare il sapere.

Uno dei modi più importanti in cui opera la metafora elettronica non è tanto di cambiare le procedure attraverso cui gli scrittori producono sapere, quanto quello di rendere tale processo più immediatamente visibile attraverso i tipi di operazioni che lo consentono e le tappe concrete percorse dagli scrittori. Uno dei modi più importanti in cui opera la metafora elettronica non è tanto di cambiare le procedure attraverso cui gli scrittori producono sapere, quanto quello di rendere tale processo più immediatamente visibile attraverso i tipi di operazioni che lo consentono e le tappe concrete percorse dagli scrittori.

Dopotutto è stato osservato che il mito della scoperta individuale del sapere è esattamente questo, un mito. Questa posizione è riassunta in modo egregio in Invention as a Social Act (1987) di Karen Burke Le Fevre, un’opera che riporta resoconti di invenzione collettiva dalla teoria della letteratura postmoderna, dalla filosofia del linguaggio e dalla psicologia sociale per dimostrare la nuova importanza assunta dalla collaborazione fra gli scrittori. Fra queste fonti una delle più importanti è Foucault:

‘(Foucault) descrive l’inizio del discorso come una riapparizione all’interno di un processo continuo senza fine:
‘Nel momento del parlare è come se avessi percepito una voce anonima che mi precedeva da lungo tempo e che mi irretiva. Non ci devono essere stati inizi: al contrario il discorso proveniva da me finché io stavo sul suo cammino ‘ un lieve distacco ‘ ed esso sarebbe sparito’. Sviluppando questa prospettiva si può giungere a considerare il discorso non come un evento isolato, ma piuttosto come una costante potenzialità che si evidenzia occasionalmente nel parlare o nello scrivere¦ Tale prospettiva suggerisce che le vedute tradizionali su un evento o un atto si sono rivelate ingannevoli quando hanno preteso che l’unità individuale ‘ un discorso o un testo scritto, un singolo eroe, una battaglia o una scoperta particolare ‘ sia chiaramente separabile da una più grande e continua forza o corrente di eventi di cui essa fa parte. Per ragioni analoghe Jacques Derrida ha criticato le teorie letterarie che cercano di spiegare il significato di un testo a prescindere dagli altri testi che lo precedono e lo seguono‘. (p. 41-42)

I sociologi della scienza condividono questa concezione del sapere come prodotto collettivo anziché individuale.

Lo studio di Diana Crane Invisible Colleges (1972), per esempio, documenta l’ampiezza con cui le idee vengono alimentate e sviluppate attraverso reti di interazioni fra scienziati, che possono anche provenire da tante diverse discipline ‘ufficiali’, ma che formano un gruppo sociale potente intorno a un problema comune. Tuttavia la tecnologia della stampa attraverso cui questo sapere prodotto in comune viene trasmesso e quindi staccato, fossilizzato, astratto dalle rete di interconnessioni intellettuali che lo ha creato ‘ fa valere continuamente il messaggio opposto. Il significato metaforico della tecnologia della stampa è isolamento e non comunità Il significato metaforico della tecnologia della stampa è isolamento e non comunità .

In particolare la facoltà di rivendicare il contributo personale in una rete intertestuale e di stamparlo con il proprio nome ‘ una facoltà resa possibile da quella stessa stampa che permise il grande accumulo del sapere ‘ fa nascere l’idea che il sapere sia posseduto individualmente.

Io credo che la comunicazione mediata dal computer fornisca un messaggio metaforico totalmente differente, tale da poter estrarre le teorie del sapere collaborativo dal regno della filosofia del linguaggio e da stamparle indelebilmente nella coscienza dell’intera società . Cominciamo col considerare quello che è oggi l’aspetto più universale della comunicazione mediata dal computer, il word processing. Ricordiamo che uno degli effetti psicologici più importanti della scrittura in generale e della stampa in particolare è la fossilizzazione di un testo in un oggetto esteriore. Ora, la composizione di un word processor divide la produzione di un testo in due stadi distinti. Alla fine il testo esce in uno stadio di chiusura più o meno completa, una volta che la stesura ‘finale’ è pubblicata in hard codex.

Ma il word processor rende molto più fluido il testo abolendo le bozze e le pagine e trasformandolo in un lungo documento continuo, un rotolo di carta esaminato attraverso una finestra scorrevole di 25 linee. Benché questa piccola finestra possa essere un problema per gli studenti che non riescono sempre a visualizzare l’intero testo come un’unità (si veda per es. Richard Collier, The Word Processor and Revision Strategies, 1983), gli scrittori esperti generalmente perdono la loro dipendenza da ciò che possono vedere sullo schermo e interiorizzano il senso di un testo che esiste in uno stato infinitamente mutevole. Anche la stampa, apparentemente fissa e immutabile, può essere vista come puramente provvisoria, poiché ne può essere prodotta a piacimento una nuova che incorpori cambiamenti.

Un aspetto fondamentale di questo tipo di testo è che esso può essere facilmente ricombinato con altri.

Un aspetto fondamentale di questo tipo di testo è che esso può essere facilmente ricombinato con altri. Gli scrittori esperti che usano il word processor sono ben consci di quanto spesso essi incorporino i loro stessi testi passati per citazioni, paragrafi ben formulati, idee tagliate dalle bozze e conservate per opere future in cui sarebbero state più appropriate. Ma questo aspetto non diventa veramente significativo finché il testo proprio dello scrittore non comincia a interagire con altre fonti testuali disponibili on line. Il word processor è spesso visto come uno stadio preliminare di scambio elettronico di opinioni poiché il testo ‘postato‘ è spesso preparato inizialmente su qualche tipo di word processor (o PC o mainframe editor). Comunque questa metafora può essere rovesciata: il word processor viene a essere alimentato di informazione on linetanto quanto il contrario. Nella misura in cui altre fonti testuali sono disponibili in formato macchina – testi ricevuti tramite conferenze elettroniche, pubblicazioni on line, testi scaricati da database, ecc. ‘ la consapevolezza dell’intertestualità , di cui parla la LeFevre, diventa sempre più un dato oggettivo e le sue implicazioni sempre più inequivocabili. Lo scorrere insieme di testi nello spazio della scrittura elettronica, testi non più disponibili come unità discrete, ma come campi continui di idee e di informazioni, risulta nello spazio elettronico tanto più facile ‘ e non solo fisicamente più facile, ma psicologicamente più naturale ‘ di quanto non sia mantenere separata la proprietà delle idee.

Intertestualità , una volta un concetto filosofico, sta diventando uno stile di vita.

Quando l’informazione viene diffusa elettronicamente nel testo cominciano a scorrere scritti antecedenti e posteriori nella misura in cui l’autore integra i commenti degli altri nel documento che si aggiorna. Come Hiltz e Turoff osservano in The Network Nation (1978) la distinzione fra bozze, preprint, pubblicazione o ristampa viene ora meno, in quanto vi è lo stesso ‘foglio’ o insieme di informazioni, semplicemente modificato dall’autore quando questi lo rielabora sulla base delle critiche dei lettori (p. 276).

Infine le distinzioni fra autori e documenti vengono a cadere completamente. Hiltz e Turoff inseriscono fra le sezioni del loro libro The Network Nation delle fantasiose citazioni tratte da un futuro ‘Boshwash Time’; una di queste profetizza proprio la fine della paternità individuale di un libro a causa del sistema collaborativo promosso dal computer: ‘Un gruppo di 57 scienziati sociali e esperti dell’informazione si sono divisi oggi il Nobel per l’economia, mentre 43 fisici e studiosi di altre discipline hanno ottenuto il premio per la fisica ¦ Quando per la prima volta otto anni fa fu annunciato un tale premio collettivo, il comitato tentò di convincere il gruppo interessato a indicare fra i suoi membri quei due o tre che erano maggiormente responsabili della teoria sviluppata. Ma il gruppo nsistette che ciò era impossibile. Il Dr. Andrea Turoff, portavoce del gruppo, spiegò: ‘noi siamo impegnati in ciò che chiamiamo un sinologio (synologue) un processo in cui la sintesi del dialogo stimolata dal processo collaborativo crea qualcosa che non sarebbe stato possibile altrimenti‘. (pp. 464-65)

In breve, con la comunicazione elettronica la nozione del testo statico posseduto individualmente si dissolve di nuovo nella fluidità dell’espressione collettiva tipica della cultura orale. In breve, con la comunicazione elettronica la nozione del testo statico posseduto individualmente si dissolve di nuovo nella fluidità dell’espressione collettiva tipica della cultura orale. Se il materiale di cui esso è fatto è disponibile attraverso il computer, l’assemblaggio di documenti (document assembly) ‘neologismo molto efficace’ diventa l’analogo del poeta orale che rifonde espressioni idiomatiche ed epiteti in trame familiari, pervenendo a creare nella preesistente rete di sapere epico, una riattualizzazione di conoscenze che sono state di pubblico dominio da prima della sua nascita (vedi Bolter, Writing Space, 1991). Nel mondo elettronico come in quello orale la latente intertestualità della stampa è consapevolmente riconosciuta: appare più ovvio che l’originalità stia non tanto nella creazione individuale di elementi singoli quanto nella realizzazione dell’intera composizione.

Ma naturalmente c’è fusione e fusione. Quando costruisce le sue storie, il cantastorie è profondamente inserito in un contesto retorico e culturale. Il suo pubblico è fisicamente davanti a lui ed egli mette insieme le sue storie in uno stretto sodalizio sia col pubblico che con i suoi personaggi, lo sfondo tribale di cui è espressione la sua figura. ‘La reazione dell’individuo non è espressa a livello semplicemente personale o soggettivo, ma è piuttosto incorporata nella reazione della comunità , nell’anima collettiva‘ (Ong, 1982, p. 46).
Invece, certi tipi di rielaboratori elettronici, potenziati con aiuti mnemonici quali il CD Rom contenente migliaia di lettere tipo e di programmi di diffusione attraverso cui può distribuirle automaticamente, possono separarsi così totalmente dall’occasione retorica, da cessare di avere la minima connessione con qualsiasi sapere umano (Cragg, The Technologizing of Rhetoric, 1991).
Ma un processo è definito al meglio non dai suoi estremi patologici, bensì dai principali usi a cui lo destina una società . Se usato da scrittori esperti che stanno componendo in un contesto retorico e non solo ricopiando formule nel vuoto, il relativamente facile taglia e incolla di brani letterari tratti da diverse fonti può diventare un’importante metafora operazionale di connessioni intertestuali.

Continua prossimamente, mi scuso della lunghezza ma non saprei come altro fare.

Un po’ di riferimenti